Per un vero lavoro di cura occorre avere cura delle parole che usiamo nella cura dell’altro.
E’ doveroso porsi domande ed interrogarsi sul significato delle parole che usiamo e sul loro messaggio consapevole ed inconscio, ragionando sulle parole che usiamo nella fascia 0-6.
Troppo spesso, per fatica, leggerezza, abitudine, rivolgiamo ai bambini parole che portano con sé messaggi distorti o contraddittori.
La comunicazione e l’ascolto dell’altro sono due pilastri del lavoro educativo, ed è dunque centrale mettersi alla ricerca dei nostri modi di
comunicare con l’altro. Le parole che usiamo possono toccarli in profondità.

LE PAROLE APRI SGUARDO

Sono quelle parole che aprono, illuminano, fanno emergere la ricchezza dell’esperienza. Le parole apertura possono iniziare con espressioni onomatopeiche come Wow, accipicchia, ma poi aprono lo sguardo nostro e del bambino sul panorama dell’esperienza vissuta: se dopo un salto su un cuscino, siamo soliti dire “bello”, possiamo usare altre parole: “Wow, hai fatto un salto bellissimo e poi sei atterrato sul morbido che mi sembravi un gatto”. Se
riusciamo a cogliere le sfumature in quell’azione, rimandiamo le con cura. Noteremo dallo sguardo del bambino se quelle parole sono andate a segno e hanno toccato corde profonde, magari legate all’autostima.


LE PAROLE SALVAGENTE

Sono quelle parole che usiamo come salvagente in una reazione emotiva. Esempio: bambino che inciampa, cade e sta per piangere … ”non è nulla, non è successo niente”. Sono parole che servono più che altro a salvare l’adulto dalla reazione incombente del bambino, più che ad aiutare il bambino a tranquillizzarsi. Hanno il vizio di negare la realtà.
Più che negare o ridurre sarebbe meglio descrivere con tranquillità quello che è accaduto, non prima di aver detto quelle che sono davvero le parole salvagente: “ti ho visto”, perché quando un bambino litiga, si spaventa, ha bisogno che l’adulto lo rassicuri rispetto alla sua presenza.
Può bastare questa prima comunicazione per calmare il bambino. Poi possiamo colorare con le parole ciò che e’appena successo, descrivendo oltre all’avvenimento anche le emozioni che ha provato . Ecco che la nostra traduzione arricchirà quell’esperienza.

LE PAROLE PALETTO

Sono quelle parole che usiamo per mettere dei limiti, dai semplici divieti ad articolate perifrasi che hanno lo scopo di evitare di eccedere con i no . L’ eccesso di no determina alcune conseguenze controproducenti, tra cui il mancato riconoscimento dei divieti e una
certa dose di frustrazione e rabbia. Un buon No, chiaro e seguito dal perché, aiuta ed è necessario perché risponde al bisogno di limiti e sentirsi contenuti, anche con le parole. In altre situazioni è bene provare ad utilizzare una comunicazione positiva più che negativa e cercare di riconoscere il bisogno che c’è sotto quel comportamento: se un bimbo vuole saltare ma lo fa in una situazione di pericolo, allora senza negargli di fare cio’ che vuole, gli si può proporre una nuova postazione più sicura per noi.

LE PAROLE ULTIMA SPIAGGIA

Parole che diciamo per sfinimento, al limite della pazienza. Sono le peggiori perché non appena sfuggono dalla nostra bocca vorremmo rimangiarcele. Sono parole istintive, ricche di emotività e che probabilmente arrivano da lontano, dalle nostre esperienze relazionali.Vale la regola del trattenerle , facendo un bel respiro, osservando la scena e trovando parole sostitutive a quelle istintive.

LE PAROLE SENTENZA

Sono quelle parole che una volta dette producono un effetto sentenza: bravo, cattivo, monello, brutto. Danno giudizi di valore, che usiamo spesso senza accorgersene e che contribuiscono ad appiattire la realtà che stiamo descrivendo. Sono parole che vagano senza essere nemmeno ascoltate e sono da maneggiare con grande cura.