Filastrocca
Lo sai che le emozioni sono come dei mattoni,
costruiscono la casa delle nostre relazioni
trasformano in sentire tutto quello che ci accade
sono gioia se si vince, sofferenza se si cade.
Sono come un filo rosso che attraversa l’esistenza
non si può mai farne a meno, non si può restare senza.
Se tu vivi un’emozione fanne dono a chi ti ama,
non voltare il viso quando un amico triste chiama.
Rassicura Chi ha paura, dai conforto alla tristezza
scaccia via chi ti disgusta, cerca chi da tenerezza.
Le emozioni son colori ed i quadri siamo noi
dentro al loro Arcobaleno non c’è prima e non c’è poi.
Sorpresa, rabbia, tristezza, disgusto, gioia e paura
grazie a voi la nostra vita è una magnifica avventura.
-Pellai-
Oggi si sente finalmente parlare delle emozioni dei bambini e dell’importanza di educarli a riconoscerle e gestirle per un sano sviluppo. Fin dalla primissima infanzia è fondamentale lo sviluppo della competenza emotiva, ovvero la capacità di riconoscere e nominare le proprie emozioni, comprenderle, esprimerle e regolarle in maniera equilibrata senza farsene sopraffare.
E’centrale anche per stabilire buone relazioni, è la base dell’empatia e delle abilità sociali: serve per comprendere gli stati d’animo altrui e modulare i nostri comportamenti nel rapporto con gli altri.
Concorre a creare anche autostima perché sentirsi in grado di padroneggiare le proprie emozioni fornisce sicurezza e fiducia in se’. Non è una competenza innata, si acquisisce attraverso le relazioni sociali, in famiglia e attraverso un allenamento emotivo che l’adulto mette in campo.
COSA SONO LE EMOZIONI E A COSA SERVONO
Si verificano a causa di stimoli esterni o interni che producono delle reazioni caratterizzate da modificazioni fisiologiche (respirazione, ritmo cardiaco…) , esperienziali( piacevole o spiacevole ) e nel comportamento (reazioni diverse se siamo felici o arrabbiati). Tali reazioni sono soggettive. Le emozioni servono per la sopravvivenza fisica, psicologica e sociale e servono tutte, non ce ne sono di positive o negative, al massimo possono essere piacevoli o spiacevoli.
- paura: serve a proteggerci dalle minacce
- rabbia: serve a superare gli ostacoli che si frappongono verso i nostri obiettivi
- gioia: ci aiuta a stabilire rapporti sociali
- tristezza: serve a sollecitare il supporto degli altri
- disgusto: ci protegge da alimenti potenzialmente nocivi
- sorpresa: serve per valutare stimoli imprevisti
Gli studiosi non sono tutti concordi su come classificare i vari stati emotivi-
COME ALLENARE I BAMBINI ALLA COMPETENZA EMOTIVA?
“Riconoscere ciò che prova non significa essere sempre d’accordo con lui .Significa essere insieme a lui “. (Rossini, Urso)
E’ fondamentale sintonizzarsi con i loro stati emotivi, convalidando anche quelli spiacevoli, senza pensare di traumatizzarli. Se piange perché vuole continuare a giocare al parco è normale che provi tristezza, ed usa il pianto come linguaggio per comunicarla ,perché non
ha ancora altre competenze per poterlo fare. Dire ”non è successo niente”, non ci permette di rassicurarli, ma stiamo minimizzando e svalutando ciò che prova e implicitamente comunichiamo che quell’emozione deve essere allontanata il prima possibile. Rassicuriamolo sul fatto che non durerà per sempre “Ti capisco, È difficile interrompere il gioco nel parco, ma quando saremo a casa a giocare ti sentirai di nuovo contento”. Si fa da specchio a ciò che
prova il bambino (RISPECCHIAMENTO EMOTIVO ) rimandandogli la sua emozione, arricchita di parole per darle forma e renderla comprensibile (“sembri arrabbiato, forse ti sei spaventato”) . Il bambino impara non solo il nome delle emozioni, ma lo abbina ad una
gamma di sensazioni interiori per cui sarà poi in grado di riconoscere e nominare i suoi stati interni.
Per aiutarlo a comprendere le emozioni, l’adulto può aiutare il bambino a capire come mai prova ciò che prova (“Ti sei arrabbiato perché ti ha preso la macchina? “) . Cosi’ apprende che le emozioni sono suscitate da eventi esterni, ma anche interni (“ti senti triste perché’ ti manca la mamma?).
ESPRIMERE E REGOLARE LE EMOZIONI
Possiamo aiutare i bambini guidandoli ad apprendere modalità socialmente adeguate di gestione ed espressione delle emozioni. Tutte le emozioni sono ok, ma non tutti i comportamenti. Va bene essere arrabbiati, ma non si può spingere, picchiare… Serve dare un’alternativa accettabile (“quando sei arrabbiato non puoi tirare i capelli, Puoi dirlo con le parole, oppure vieni da me e ti aiuto”) . Non ci si può aspettare che il bambino metta in atto le indicazioni immediatamente: ci vorrà tempo e ripetizione prima che possa utilizzare un comportamento diverso da quello impulsivo.
“Le azioni come ogni seme hanno bisogno di tempo per portare il frutto” ( Gandhi).
Affinché l’adulto possa mettere in campo queste modalità e’ importante che a sua volta sia calmo e aperto all’ascolto. Quando si è stanchi e stressati è pressoché impossibile lavorare serenamente con le emozioni dei bambini, ma è umano che ciò accada e se si è tristi è possibile mostrare questa emozione: gli si comunica che va bene sentirsi così e può osservare come l’adulto gestisce l’emozione e ciò funge per lui da modello.
EMOZIONI E CERVELLO
Comprendere il funzionamento del cervello può aiutare a capire meglio le reazioni emotive dei bambini e aumentare la nostra capacità empatica con loro.
Dal punto di vista strutturale il cervello è come un palazzo di tre piani, sovrapposti uno all’altro e ogni piano è deputato a funzioni specifiche.
- cervello rettiliano : parte più arcaica, presiede le funzioni corporee vitali: fame, respirazione, movimento;
- cervello mammaliano: è la regione dove risiedono le emozioni e attiva collera, paura, divertimento, esplorazione. Regola la reazione di fronte a minacce reali o potenziali. Queste parti del cervello sono molto attive nei bimbi piccoli, Ecco perché sono molto
possessivi e tendono a reagire in modo aggressivo a minacce reali o potenziali; - Cervello razionale: deputato alla risoluzione dei problemi, ragionamento, auto consapevolezza, creatività, pianificazione del comportamento, moralità…Servono quasi 30 anni perché arrivi a completa maturazione, nonostante sia presente già dalla nascita.
Il cervello ha dei tempi di maturazione così ampi per la plasticità che lo caratterizza, per la sua capacità di adattamento. Più i bambini sono piccoli, più i sistemi emozionali dei primi due piani del cervello riusciranno a sopraffarli, sfociando quindi in crisi di rabbia, agitazione
…. che sono in genere la conseguenza della sua immaturità cerebrale e quindi emotiva.
Il cervello emotivo, non ancora sviluppato, non è in grado di gestire gli stati emozionali impulsivi ,calmando il cervello inferiore. Tra 0 e 3 anni emozione e’uguale ad azione, senza mediazione del pensiero. Verso i 7 – 8 anni il bambino inizia a riflettere sui propri stati emozionali. Quando l’adulto aiuta a co-regolare le emozioni, si formano dei percorsi neuronali atti a sviluppare aree del cervello che consentono al bambino con il tempo di imparare l’autoregolazione.
LA REGOLAZIONE EMOTIVA
“L’ organizzazione del se’ dipende dalle modalità con cui le emozioni vengono regolate.” (Siegel)
Regolare le emozioni significa essere in grado di modularne l’intensità e la durata, valutando il contesto e adattando il proprio comportamento. Senza regolazione da parte dell’adulto il bambino non potrà imparare da solo le modalità sane di gestione emotiva.
Possiede già alcune capacità autoregolative innate come succhiare il dito, dormire, distogliere lo sguardo…ma di fronte ad emozioni intense gli è difficile fargli fronte da solo.
La capacità autoregolativa cresce in funzione dell’attività di supporto e trasformazione svolta dall’adulto, attraverso il rispecchiamento emotivo e valide alternative di comportamento, consentendo la formazione di percorsi cerebrali che collegano il cervello superiore a quello inferiore, per arrivare ad una regolazione interna autonoma. Tale conquista è soggettiva e dipende da diversi fattori : di natura biologica, temperamentale, relazionale e in base a contesti educativi.
Un’adeguata regolazione emotiva consente anche la costruzione di un buon legame di attaccamento, che garantisce al bambino lo sviluppo di una buona autostima, di una relazione salda e sicurezza emotiva che gli permetterà di avventurarsi con fiducia nella vita.
Consente inoltre di mantenere un comportamento organizzato per tempo sempre maggiore di fronte al nuovo, assicurandosi la possibilità di un apprendimento continuo.
RUOLO DELL’ ADULTO NELLA REGOLAZIONE EMOTIVA
L’ adulto deve essere consapevole delle proprie emozioni e di come tende a reagire di fronte ai comportamenti del bambino. I piccoli involontariamente sollecitano i nostri tasti dolenti interiori, attivando in noi reazioni emotive intense. Ci sentiamo sfidati, presi in giro, non
rispettati e ciò può attivare i nostri comportamenti non sempre utili allo sviluppo emotivo del bambino. Dobbiamo ricordare che gli adulti siamo noi:” l’adulto deve fare bene l’adulto se si vuole che il bambino impari a fare bene” (Nicolodi).
Partendo dal presupposto che il bambino è immaturo e fa quello che può con i mezzi che ha per comunicare, e più è piccolo più comunica attraverso il comportamento, dobbiamo riflettere ed interrogarci per evitare di essere reattivi ed impulsivi a nostra volta : “come si
sente ? “di quali informazioni necessita? “ “Quali sono i suoi bisogni? “Cosa sta cercando di dire con le sue azioni? “.
Fermarsi a pensare, prendersi tempo è utile per mettere in campo le nostre capacità superiori e gestire le situazioni in modo efficace. E’ importante partire da uno stato di calma, perché se si interviene con aggressività la situazione peggiora, il bambino si spaventa e va ancora più in crisi. Se si fatica, sarebbe utile allontanarsi per trovare la calma
e lasciare che intervenga un altro adulto. Se si è soli invece ci si può allontanare. Poi si potrà dire “Hai visto, ero arrabbiata, ma ora mi sono calmata. Forse ti sei spaventato che mi sono allontanata,ma ora è passato tutto, anche tu ti sei calmato. E’normale arrabbiarsi, Ma poi si
ritrova la calma.”
E’molto importante la rassicurazione del proprio immutato amore: trasmettergli il messaggio, verbalmente o gestualmente, che gli si vuole sempre bene anche se si è persa la pazienza. Per loro non è così scontato.
MODALITA’ PER AIUTARLI A RITROVARE LA CALMA
Fornire un contatto fisico rassicurante che può aiutare a calmare i bambini di fronte ad una crisi di rabbia, agitazione, tristezza… Lo può aiutare a sentirsi contenuto nei suoi forti sentimenti.
Nel caso della rabbia il contatto lo aiuta a vedere che il legame con l’adulto è più forte della sua rabbia, di cui egli stesso ha paura. Spesso Infatti restano spaventati dalla perdita di controllo che li travolge e sapere che l’adulto è più forte delle loro emozioni può essere molto rassicurante. Questo contatto fisico stimola nel cervello la produzione di
ormoni che riducono lo stress.
Il contatto fisico lavora in accordo con il cervello del bimbo: nei primi 3 anni domina l’emisfero destro (quello emotivo, non verbale, più connesso al corpo) e solo a partire dal 18 mese inizia la maturazione di quello sinistro verbale (logico.)
La dominanza dell’emisfero destro nei primi tre anni ci aiuta a comprendere perché richiedano così tanto il contatto fisico, per dominando la comunicazione non verbale.
Oltre all’abbraccio il contenimento può avere altre forme:
“Mi sembri arrabbiato, ora non puoi giocare con gli altri perché le mani e piedi sono troppo agitati. Ci sediamo qui insieme, ci calmiamo.”
A quel punto si possono adottare diverse strategie a seconda dell’intensità delle emozioni e di come conosciamo il piccolo (Ad esempio la scatola della calma ). In questo modo il bambino non si sente né sminuito, né sbagliato, ma aiutato dall’adulto a ritrovare la calma.
La scatola della calma
Si può utilizzare a partire dallo stabilirsi di una relazione empatica e rappresenta uno strumento utile per aiutare il bambino a calmarsi e nel tempo ad autoregolarsi. E’ una piccola scatola confezionata dall’adulto ,avendo in mente il bimbo per cui la crea . Contiene un assortimento di carte che rappresentano graficamente ciascuna un attività che può essere fatta per calmarsi.
Alcune idee: stirati come un gatto, muoviti come ti piace, ascolta musica rilassante, canta una canzone che ti piace, respira profondamente per 5 volte, manipola la pasta di pane, schiaccia una pallina, gioca con le costruzioni ordinandole per colore, fai una pizza (l’adulto disegna con le dita un cerchio sulla schiena del bambino, usa tocchi differenti per rappresentare i condimenti che il bimbo vuole mettere sulla pizza), bevi lentamente un po’ d’acqua, fai il serpente più lungo che puoi con la pasta di pane, fai le coccole con la maestra, fai un disegno….
Si procede per step:
- nominare il comportamento facendo possibili collegamenti . “mi sembra che tu sia agitato perché vedo che stai facendo fatica a giocare con lui. Forse ti ha infastidito il fatto che non vuole giocare con te?”
- invitarlo a calmarsi con il nostro aiuto : “ potremmo prendere la scatola della calma per fare una pausa, potremo respirare 5 volte, giocare con la pasta di sale, quale preferisci’” ? e si mostrano le carte al bambino.
Quando ha scelto l’attività, farla insieme a lui o affiancarlo.
Dopo un certo tempo in cui si usano queste strategie il bambino può iniziare a cogliere i segnali del proprio corpo e può far capire all’adulto quando ha bisogno della scatola, oppure può accedere in modo autonomo se è alla sua portata.
Si tratta di valutare quale modalità è più utile a quel bambino: Un abbraccio, una carezza sulla schiena, una parola o uno sguardo distanza, dare tempo e spazio per calmarsi da solo rassicurandolo però sulla propria presenza…. ogni caso è diverso. Non possiamo lasciarlo a
se stesso, dobbiamo evitare di ignorarlo e anche se è il bambino a chiedere di poter stare per conto proprio per calmarsi, e’ importante che l’adulto mantenga la propria disponibilità a fornire supporto ed aiuto.
PUNTO DI VISTA DI ALCUNI AUTORI PER SVILUPPARE COMPETENZA EMOTIVA
SIEGEL E BRYSON
– Entrare in sintonia e re incanalare: entrare in sintonia con lo stato emotivo del bambino e quando è calmo fornirgli alternative adeguate;
– Nominare per dominare: aiutarlo a raccontare cosa gli succede, così può comprendere la propria esperienza e imparare a dominarla. Insegnare il nome delle emozioni attraverso il rispecchiamento emotivo;
– Attivare senza infiammare: mantenere la calma.
Siegel e Bryson suggeriscono altre strategie:
- allenare la parte superiore del cervello: fornire diverse opportunità per esercitarla trovando dei modi per fargli prendere decisioni in modo autonomo: “cosa vuoi mettere oggi, la maglia blu o rossa?”
Quando gli si legge un libro fagli domande che favoriscono lo sviluppo di questa parte del cervello: “Secondo te come farà il gattino a scendere dall’albero? “
Per quelli più grandi è utile il gioco del “cosa faresti? “ Gli si presentano dei dilemmi ipotetici : “immagina di essere al parco e trovare un gioco che ti piace ma sai che è di qualcun altro. Cosa faresti? “
Mentre leggete una storia chiedergli di prevedere come andrà a finire. - muoversi per non perdersi: dopo aver rispecchiato le sue emozioni invitarlo a fare del movimento può aiutarlo, perché il movimento aiuta a cambiare l’umore. Se sta per avere una
crisi di rabbia può essere utile, mentre e’ meno efficace se e’ nel pieno della tempesta emotiva. Valutare : alcuni bambini invece che scaricarsi si caricano. - Lasciare scivolare via le nuvole delle emozioni: aiutarli a comprendere che le emozioni vanno e vengono , che non durano per sempre, senza però dare l’impressione di non tenere in giusta considerazione quei sentimenti.
- Dal conflitto alla sintonia: considerare il conflitto con un’opportunità. Perché dal litigio imparano molte abilità sociali, aiutandolo ad esprimere le proprie emozioni e quelle che può provare il compagno e empatia e aiutarli a trovare una soluzione.
GOTTMAN
– Diventare consapevoli delle emozioni del bambino: dobbiamo essere consapevoli delle nostre. Anche i sentimenti più intensi possono essere padroneggiati senza perdere il senso di se’. Se succede il contrario e’ bene allontanarsi, chiedere scusa se si pensa di aver sbagliato.
– Riconoscere un’opportunità di insegnamento: le situazioni critiche sono opportunità per insegnare a gestire le emozioni.
– Ascoltare con empatia e convalidare i sentimenti: fase più importante. E’ necessario usare il cuore per ascoltare ciò che vuole comunicare. Accettare i sentimenti così come sono, senza pretendere di modificarli, dargli un nome, senza volerli per forza risolvere a tutti i
costi. Può essere utile raccontargli proprie esperienze, come ci si e’ sentiti e come si e’ risolta la situazione.
– Aiutarlo a trovare le parole per definire le emozioni: per trasformare una sensazione indefinita a una conoscibile, chiara.
– Porre dei limiti mentre si trovano alternative: nel caso delle crisi di rabbia quando è terminata rielaborare l’esperienza. Se rompe un gioco non è necessario forzare le scuse, ma aiutarlo a riparare aggiustando il gioco o dando all’altro bambino uno dei suoi. Si può anche aiutarlo a riflettere su alternative per il futuro : “la prossima volta che sei arrabbiato, invece di colpire il tuo amico, cosa potresti fare?”
IN SINTESI
-Calmare il cervello del bambino: il cervello non processa molto bene le parole, ma capisce bene il tono di voce, linguaggio del corpo, la calma…
-Conoscere il bimbo e cosa lo aiuta a calmarsi è importante.
-Aiutalo a sentirsi visto e capito: fornire le parole per esprimersi rispecchiando le sue emozioni : “ ti senti così deluso” . Tradurre i suoi stati emotivi e riconoscere i messaggi reali sotto le sue parole e comportamenti : “Odio mia sorella!” “si può dire che non ti piace
quando lei ti prende i giochi” . Imparerà a diventare più preciso nell’esprimere i sentimenti.
-Fornire empatia.
-Proteggerlo fisicamente ed emotivamente : dal rischio di fare male a sé o ad altri o a rompere gli oggetti . Porre limiti affettuosamente fermi. Se il contesto non è sicuro si può decidere di portarlo in uno spazio sicuro, ma restando in sua presenza.
-Aiutalo a sentirsi sicuro: restando noi calmi, lavorare su ciò che si prova prima di aiutarlo se serve. “
“Rispettare le emozioni di un bambino significa permettergli di sentire chi è , di prendere coscienza di se stesso in quel momento. Significa considerarlo un soggetto unico, consentendogli di mostrarsi diverso da noi. Significa aiutarlo a realizzarsi, a costruirsi il suo passato e immaginare il suo futuro, a prendere coscienza delle sue risorse, delle sue forze come delle sue mancanze” (Fillizzat)