“Litigare è un diritto dei bambini” Daniele Novara
Culturalmente pensiamo al litigio come qualcosa di sbagliato, che va “corretto”, instillando così nel bambino un senso di vergogna e la paura di essere sbagliato.
Il litigio invece è un evento necessario e utile, carico di contenuti, attraverso il quale il bambino esprime il suo bisogno di conoscere e conoscersi e basilare per imparare a stare con gli altri.
Come per tutti i mammiferi, è una forma di gioco. Ad esempio, il gioco della lotta, mischia, è fondamentale per sviluppare competenze socio-emotive, perché permette di allenarsi allo scontro. E’ un mezzo per capire i propri limiti e quelli degli altri.
I litigi servono per:
- acquisire competenze sociali (imparare a capire gli altri);
- fare esperienza del proprio limite;
- imparare a gestire il confronto in modo costruttivo;
- imparare a sbagliare e rimediare agli errori;
- diventare empatici (capire le intenzioni dell’altro, scegliere di fermarsi);
- apprendere a dosare e gestire il proprio potere nelle relazioni e prendere le misure con gli altri;
- imparare a gestire il senso di impotenza e frustrazione = non posso avere o fare sempre ciò che voglio (passaggio necessario per crescere);
- conoscere più profondamente se stessi.
Evitare i conflitti non aiuta i bambini nel loro percorso di crescita.
L’adulto serve come mediatore per sostenere l’acquisizione della “competenza conflittuale” e insegnare a vivere le frustrazioni in modo costruttivo.
Più il bambino è piccolo, più usa il proprio corpo per esprimersi; man mano che cresce, svilupperà altri strumenti che gli permetteranno di superare un contrasto in maniera non violenta. Verso i 4/5 anni tutti dovrebbe aver sviluppato le “competenze conflittuali” e la sua modalità nell’affrontare un litigio sarà assertiva (confronto con gli altri, nel rispetto dell’altro).
Cosa dobbiamo fare noi genitori/educatori di fronte un litigio
- osservare ed analizzare la specifica situazione per non confondere un comportamento aggressivo con un comportamento di “semplice; immaturità sociale” (un esempio di immaturità sociale è il bimbo molto piccolo che non ha altri mezzi per esprimersi );
- evitare la ricerca del colpevole per non generare la sensazione di essere sbagliati, delle cattive persone;
- evitare l’arbitraggio ovvero stabilire torti e ragioni cercando chi ha iniziato e il perchè: ne potrebbe derivare uno dipendenza dall’adulto nel gestire le situazioni o il litigio si potrebbe trasformare in un mezzo per attirare l’attenzione dell’adulto;
- non mostrarsi agitati, come se ci fosse un’emergenza;
- evitare la negazione del conflitto (Esempio dire ai bambini: “Smettetela di litigare!”) o portare via l’oggetto conteso: dobbiamo insegnare come uscirne, mantenendo l’oggetto e trovando soluzioni;
- insegnare la competenza conflittuale: trovare la soluzione
- evitare di pensare che chi cede sia per forza un debole: molti genitori temono che se loro figlio cede, significa che è un bambino che subisce sempre le situazioni e possa per questo venire bullizzato. Chi cede in realtà potrebbe essere il più maturo da un punto di vista emotivo, perchè sa capire che l’amico è in difficoltà (empatia) ed è in grado di lasciar andare. Bisogna però affinare la propria osservazione per capire se il bambino sta subendo o è sereno nel lasciar andare: se lo vediamo insofferente possiamo intervenire (Esempio: ho visto che hai lasciato a lui la macchinina, mi sembri un po’ triste, forse non ne sei convinto, prova a chiedere se te la restituisce);
- accompagnarlo e rassicurarlo dicendo che si può anche dire di no: a volte il bambino cede per compiacere l’adulto perché così è un bravo bambino ai suoi occhi;
- evitare pressioni sui bimbi più grandi nell’essere accondiscendente con quelli più piccoli, perché si devono sentire rispettati in egual modo;
- cercare che ogni bimbo abbia le proprie cose e i propri spazi distinti, seppur piccoli: se il bimbo piccolo vuole le cose dell’altro le deve chiedere e l’altro è libero di scegliere se cederle oppure no; è necessario essere mediatori neutrali.
Bambini 0-3 anni. Cosa fare:
- contenimento e rispecchiamento emotivo: comprendere la fatica di fronte all’episodio di litigio e dare un conforto verbalizzando le emozioni del bambino
- verbalizzazione delle intenzioni, dando intenzionalità positiva: cercare di fare capire le emozioni reciproche ed evitare di colpevolizzare chi ha fatto male per prendersi il gioco, per non intaccare la sua autostima, (i bambini non vogliono far male, spesso questo accade perchè non sanno dire le cose) ma nemmeno quello che si è tenuto il gioco. (Es: Dire ad Luca: Mattia voleva dirti che non ti voleva prestare la macchinina; e consigliare Mattia: La prossima volta non tirare i capelli ma prova chiederglielo con le parole: me lo presti??) Seminiamo anche se non sanno parlare!
- fornire alternative (Es. Chiedi a Mattia se potete fare cambio, se te la presta). Man mano che il bambino svilupperà competenze linguistiche, metterà in pratica queste modalità.
Bambini 3-4 anni. Cosa fare:
- chiedere la loro versione dell’accaduto ed invitarli a trovare una soluzione (Es. Vediamo se ho capito: tutti e due volete quella macchinina ma come potreste risolvere la situazione?) Lasciamo loro il compito di trovare un accordo, anche se a noi non sta bene su come si sono accordati (noi tendiamo a trovare soluzioni giuste moralmente secondo la nostra visione). L’obiettivo deve essere quello di aiutarli a parlarsi e qualsiasi soluzione trovino non dobbiamo intervenire
- non dimostraci allarmati: dobbiamo far capire al bambino che il litigio è una cosa normale e bisogna imparare a litigare bene
- facilitare la comunicazione
- controllare la nostra paura che si facciano male
- evitare di innervosirsi e arrabbiarsi con i bambini facendo passare l’idea che siano sbagliati perchè litigano e disturbano.
“Le azioni come ogni seme hanno bisogno di tempo per portare frutto” – Gandhi
Il bambino deve fare esperienza di conflitto in situazioni di possibilità di gestione del conflitto. L’apprendimento avviene attraverso tre modalità:
- modelling: l’adulto modella il comportamento del bambino con il suo esempio (prendo e metto dentro, guardo e imparo). E’ il metodo più persuasivo;
- contingency: nella situazione contingente sperimenta un adulto facilitatore; osserva in che modo gli adulti gestiscono la situazione quando accade;
- coaching: riguarda tutte quelle proposte ludico-didattiche per allenarli a determinate competenze (es: i giochi cooperativi).
Tutti e tre questi pilastri devono andare di pari passo: i primi due impattano sul vissuto del bambino, mentre l’ultimo riguarda più l’aspetto cognitivo.
Impariamo a distinguere un bambino aggressivo da uno violento
Si parla di aggressività quando l’atteggiamento riguarda la protezione di sè: il bambino si sente attaccato e difende se stesso, i suoi oggetti, i suoi spazi.
Si parla di violenza a partire dai 6 anni e quando riguarda l’intenzione di fare male all’altro: in questo caso il bambino non usa altri strumenti per comunicare durante un litigio. Non si nasce violenti: lo si diventa quando si vivono esperienze di vita negative e traumatiche senza l’accompagnamento di un adulto competente. Durante la loro crescita, i bambini imparano un modus operandi che poi farà parte del loro essere: è importante che crescano in un ambiente costruttivo, non giudicante o colpevolizzante, dove possano esercitare ed acquisire competenze cognitive, ma anche socio-emotive: invece di usare la violenza, sapranno utilizzare le parole per esprimere le proprie emozioni. Avranno inoltre imparato che il problema con un’altra persona è una cosa che sta fra lui e l’altro, e non è l’altro il problema.
Noi genitori/insegnanti abbiamo in tutto questo una grande responsabilità, ecco perchè dobbiamo continuare ad aggiornarci, cercare di crescere e migliorarci nel nostro importante e complesso ruolo educativo.
Chi non si forma si ferma! 😊🌈